Facciamo chiarezza su un aggettivo utilizzato spesso impropriamente per descrivere una delle proprietà più caratterizzanti e quindi interessanti del vino. Dunque, dire che un vino è tannico significa che esso è particolarmente ricco in tannini, sostanze presenti nella buccia e nei vinaccioli dell’uva. Questi composti appartengono alla famiglia dei polifenoli, i quali hanno effetti benefici sulla salute in virtù delle loro proprietà antiossidanti. Passando nel vino, specialmente in quello rosso durante la loro estrazione dalle bucce per macerazione, i tannini conferiscono una maggiore struttura al vino ma anche un gusto astringente, allappante. Essi infatti sono in grado di legarsi ad alcuni costituenti della saliva, facendoli precipitare e “asciugando” il palato. Questo fenomeno provoca una sensazione di secchezza abbastanza riconoscibile, la stessa che è possibile percepire addentando un cachi non ancora maturo o dei chicchi di melograno. Anche il legno delle botti può cedere tannini al vino, contribuendo alla loro maggiore presenza nel vino finale.

Ma un vino tannico viene apprezzato o no?

La tannicità, questa caratteristica considerata negativa in quanto dà astringenza, scientificamente consistente in una perdita di lubrificazione del cavo orale, può essere talvolta desiderata. Tutto dipende dall’equilibrio raggiunto nel suo complesso tra la tannicità di un vino con la sua alcolicità, la sua morbidezza e il senso di maturità del frutto.

Va bene quindi che un vino contenga tannini, gran parte di essi li ha, ma questi non devono mai diventare predominanti, pena la comparsa di sgradevoli sensazioni “dure” e spigolose.

Per tenere sotto controllo questa proprietà del vino si agisce generalmente su tre aspetti:

• primo fra tutti il vitigno da cui si ottiene il vino: esistono infatti alcune varietà che sono maggiormente predisposte a dare tannicità, in quanto presentano naturalmente una carica molto alta di tannini. Esempi di vitigni ad alto contenuto di tannini sono il Nebbiolo, Cabernet Sauvignon e Tannat, ma in particolare il Sagrantino di Montefalco e il Tazzelenghe, talmente tannico da assumere il proverbiale soprannome di “taglia lingue”. Di contro, vini come il Pinot Nero poveri in tannino hanno meno struttura ma anche più spazio per mettere a fuoco attributi di eleganza.
  
  
• Secondo aspetto che incide sulla tannicità di un vino è la durata della macerazione: più è prolungata più tannini vengono estratti.
  
  
• Terzo: il contenitore di affinamento. Il legno contribuisce a rincarare tale sensazione in misura crescente con il grado di tostatura.

In conclusione, un vino tannico non è per forza un vino cattivo. Tutto dipende da come viene realizzato. Ora che sappiamo cosa significa possiamo imparare a difenderci da chi sconsiglia di bere un vino rosso soltanto perché è tannico. Tutti i vini rossi lo sono, l’importante è che non lo siano troppo.